Le notti di Eva

LA FESTA DI VALPURGA

Nel suo letto Adamo non riesce a prendere sonno. Si sente interiormente agitato. Ha la netta percezione che una presenza inquietante si stia avvicinando.
Eva è sveglia. È affacciata al balcone di legno della casetta e ascolta il silenzio della notte. È immersa nella contemplazione delle cose, e il suo contemplare sta per prendere forma di riflessione, quando si accorge che un signore vestito di nero sta ritto in piedi di fronte a lei. Riconosce la fronte accigliata e il sorriso triste del principe Belzebub.
Adamo si porta accanto a lei. Dopo essersi inchinato dinanzi alla donna, il principe Belzebub si rivolge a lui:
“Questa notte si svolge la nostra annuale festa di Valpurga”, gli dice. "Oggi è l'anniversario della nostra indipendenza. Esattamente quindici miliardi di anni fa ci siamo ribellati al buon Vecchio che regna lassù e ci siamo resi indipendenti. Io sono stato inviato dal Serpente mio signore per invitarti ad assistere alla nostra cerimonia insieme alla tua donna. Se volete seguirmi, sarà per voi un'esperienza indimenticabile”.
Adamo annuisce e si pone sulle orme del signore vestito di nero. Eva è lievemente contrariata, perché Adamo non ha chiesto il suo parere. Ma lo segue senza protestare.
“Dovremo fare un po' di strada”, dice il principe Belzebub, “ma non ci vorrà molto. Durante il cammino faremo un po' di conversazione”.
“Ma noi”, domanda Adamo, perplesso, “possiamo uscire dal Paradiso Terrestre?”.
“Potete uscire e rientrare perché il vostro giardino è un soggiorno, non un carcere. Venite dunque senza timore. Potete fare ritorno quando lo vorrete”.
“Perché non tenete la vostra festa nel giardino?”, domanda Eva.
“Sarebbe bello”, risponde, sorpreso, il principe Belzebub. e anche gratificante per noi, ma non è possibile. Noi vi abbiamo accesso, per bontà dell’amabile Vecchio che regna lassù, ma non possiamo usarlo a nostro piacere. E quando lo visitiamo dobbiamo rispettare le regole del luogo. Noi abbiamo il potere sul Regno della Morte, perché a noi è stato dato, ma nel vostro giardino siamo solo ospiti”.
Adamo non dice nulla. Eva vorrebbe fare altre domande ma, per amore del suo uomo, cerca di contenere la sua curiosità.
“Ora vi condurrò al nostro palazzo”, dice il principe Belzebub. “Sarà questione di un attimo”.
Prima di accorgersi di ciò che accade, Adamo ed Eva, senza avvertire alcun movimento, si trovano al centro di un'ampia radura.
“Siamo giunti”, dice il principe Belzebub. “Come vedete il viaggio non è stato faticoso. Vi auguro buon divertimento. La festa sta per avere inizio”.
“Fa freddo”, si lamenta Eva.
“È vero”, risponde il principe Belzebub, “le nebbie della notte hanno portato umidità. Ma provvedo subito al vostro benessere”.
Fa schioccare le dita e si accende un fuoco che brucia senza essere alimentato. Non riscalda, ma dà l'illusione di offrire un ambiente più confortevole.
Adamo ed Eva si guardano intorno. A prima vista non vedono nulla. Ovunque regna un silenzio inquietante. Non ci sono preparativi di alcun genere. Alcuni fuocherelli sparsi per l'immensa radura ardono senza crepitare e senza mandare calore. Anche l'uomo vestito di nero è scomparso. Per un istante credono d'essere stati ingannati.
D'un tratto però scorgono a poca distanza un grande palazzo di cui prima non si erano accorti. Le sue pareti sono di marmo. È sfolgorante di luce, ma spande intorno solo oscurità, come un faro di tenebre. Sulla facciata campeggia una scritta a caratteri cubitali:
 

Adamo ed Eva provano sentimenti contrastanti: curiosità mista ad ammirazione da parte dell'uomo, aperta diffidenza da parte della donna. Dall'ingresso del Palazzo una lunga scalinata di marmo scende fino al terreno erboso. Uno degli addetti al servizio stende un tappeto rosso dal fondo dello scalone a un grande trono che si eleva alla loro sinistra. Sulla soglia del palazzo appare il Serpente seguito da alcuni dignitari. Tutto intorno si agita uno stuolo di servitori. Il Serpente scende lo scalone fino al tappeto. Una duplice fila di diavoli caudati fa ala al suo passaggio come un picchetto d'onore, presentando le armi. Le armi sono le loro code che, fatte passare tra le gambe ed erette verso l'alto, essi impugnano con le loro stesse mani. Al comando del capo plotone, le code dei diavoli diventano rigide come lame di spade. Il Serpente avanza con passo regale tra le due ali del picchetto e si dirige verso il trono. Uno dei dignitari introduce Adamo ed Eva alla presenza del suo signore.
“Siate i benvenuti”, dice questi. “Il principe Belzebub vi ha già detto che questa è la festa della nostra indipendenza, e sono lieto che possiate assistervi. È la prima volta che ci accade di avere degli ospiti di riguardo. Voi conoscete il principe Belzebub”, continua il Serpente, “ma voglio che sappiate qualcosa di più su di lui.
È il principe ereditario di questo regno. È chiaro che non erediterà mai nulla, perché non ho intenzione di cedere il potere a chicchessia, ma gli ho dato questo titolo in segno di onore, per amore delle consuetudini”.
“Quali consuetudini?”, domanda Eva.
“Consuetudini che non esistono ancora”, risponde il Serpente. “Noi siamo i primi di una tradizione che deve ancora nascere. Ma non meravigliatevi. Non diranno un giorno i poeti che il tempo ha le sue radici nel domani eterno?”.
Tutt'intorno si odono scoppi di risa. I diavoli non hanno capito nulla, perché non hanno la cultura del Serpente, ma si divertono senza misura. Adamo ed Eva si volgono in ogni direzione, senza scorgere nessuno.
“La mia corte è invisibile per voi”, spiega il Serpente, “ma è sempre dinanzi a me. Quelli che avete udito sono i miei sudditi, i miei consiglieri, i miei collaboratori. Questo è il loro modo di darvi il benvenuto. Ma non è giusto che rimaniate in piedi. Vi faccio subito accomodare”.
Adamo ed Eva scorgono un trono a due posti sormontato da un baldacchino.
Senza avvedersene, si trovano seduti su due seggi, da dove possono assistere allo spettacolo.
“Non è giusto che non vediate i miei dignitari di corte”, aggiunge il Serpente.
“Ora li pregherò di rendersi visibili”.
“Miei fedeli”, dice poi, “porgete i vostri omaggi ai signori, miei ospiti, che si sono degnati di far visita alla nostra umile dimora”.
Nessuno si fa avanti.
“Comincia tu, Toutmouillé”, dice il Serpente al primo che gli si para davanti, “e sbrigati. Non si fanno aspettare le signore”.
Toutmouillé si esibisce in un inchino di quelli che non si imparano alla scuola delle belle maniere. Poi se ne va, perdendo acqua da tutte le parti come un secchio bucato.
Si presenta uno impiastricciato dalla testa ai piedi, di cui non si capisce dove siano il davanti e il dietro, il disotto e il disopra. Spande un insopportabile odore fetido. Il Serpente si complimenta con lui:
“Che profumo delizioso, Nemelavepas! Ti sei di nuovo rotolato in un porcile?”.
“Questa volta mi sono lavato nell'acqua pulita!” protesta l'interpellato.
“Proprio qui sta il tuo errore”, ribatte il Serpente. “L'acqua pulita ha lavato via la crosta di lerciume che copriva il tuo vero te stesso, cioè l'ammasso di sozzura allo stato puro di cui sei fatto. Ti conviene coprirti di sporcizia. Quando sei sporco sembri più pulito”.
Adamo ed Eva si turano educatamente il naso. Nemelavepas se ne accorge e sporge lagnanza:
“Hai degli amici schizzinosi, capo. Ti metto in guardia: non occuparti di quei due. Daranno grattacapi più loro a noi che noi a loro. Qualunque sia il progetto che hai in mente, ti consiglio di lasciar perdere. Anche fare il male costa fatica. E non porta il piacere che te ne aspetti”.
A quelle parole il Serpente si adira. Sa benissimo che Nemelavepas ha ragione: anche fare il male costa fatica, sudori e dolori, dispiaceri e malumori. Sa pure che il piacere atteso non ci sarà. Però ha deciso di farlo lo stesso. La logica non è il suo forte.
Nemelavepas si eclissa. Si presenta uno in apparenza più educato:
“Mi chiamo Stonebaked Ins e vi saluto” articola, facendo un sorriso che sembra uno sberleffo e accennando una riverenza che termina con uno sgambetto.
“Che cosa significa Ins?”, domanda Eva.
“Sta per insect, insetto”, risponde l'interpellato, ossequioso.
“Avete dei nomi originali”.
“Ce li ha dati il Serpente”, spiega Stonebaked Ins. “Come il tuo Adamo ha dato il nome agli animali e alle piante che sono nel giardino, così il Serpente ha dato il nome a ciascuno di noi. I nostri nomi sono in tutte le lingue del mondo perché tutto il mondo è suo e anche noi apparteniamo a lui”.
“È vero”, conferma il Serpente. “Ai miei angeli ho dato un nome e in questo modo sono diventati miei. Ho scelto nomi molto significativi. Ecco qui Adad, che ve lo può confermare. Il suo nome in lingua assira significa Uno-uno, che vuol dire Primo dei primi”.
Adad non dice nulla. Il Serpente fa venire un altro:
“Vi presento Locutussum”, dice ai due ospiti, “È stato l'ultimo a cui ho dato il nome. Che faticaccia! Mi vengono i brividi a pensarci. Per venticinque mila anni sono stato seduto su una seggiola, senza muovermi, facendo sfilare i miei angeli e dando a ciascuno di loro un nome nuovo. Molto più di te, Adamo, che hai fatto tutto in una sola giornata. Alla fine ero davvero stanco”.
“Stanco e rincoglionito”, aggiunge Locutussum, sgarbato. “Figurati che mi avevi chiamato Locutaes. Come se fossi femmina! Sono io che ti ho avvertito dell'errore”.
Il Serpente ricorda con disappunto quelle sue antiche gaffes. Oltre a dare un nome nuovo ai suoi angeli, la sua mente stava elaborando la strategia del male, una cosa del tutto nuova nell'universo modificato dalla presenza dell'uomo, un progetto immane che richiedeva uno sforzo mentale immenso. Ma fare due lavori in uno era troppo anche per uno come lui, e alla fine aveva dei momenti di crisi.
Appare un diavolo gobbo, con la faccia contorta dalle risa. Appena si accorge di essere stato reso visibile, cerca di atteggiarsi a un contegno civile.
“Questo è Mistrofius”, dice il Serpente. “È il capo del mio cerimoniale di corte”.
“Che cos'è il cerimoniale?”, domanda Eva.
“È una specie di rito che sarà imitato un giorno dagli altri sovrani del mondo. Il capo del mio cerimoniale presiede personalmente ogni mattina alle funzioni del “petit lever” e del “grand lever”.
Uno sguardo interrogativo si dipinge sul volto di Eva. Anche quelle parole hanno bisogno d’una spiegazione.
“Quando mi alzo la mattina”, dice il Serpente, “uno dei miei servitori mi porge i calzini, un altro le mutande, un terzo le brache, un quarto la camicia, un altro il sottopancia. Quello è il mio “petit lever”. Poi esco dalla camera da letto e faccio la mia apparizione in anticamera. Qui i dignitari di grado superiore completano il mio abbigliamento. Uno mi porge il manto, un altro lo scettro, un terzo il diadema, un quarto la spada, oppure il bastone da passeggio se quel giorno ho deciso di regnare passeggiando. Infine il principe Belzebub, che è il più alto in grado, mi cinge la corona. Quello è il mio “grand lever”, e da quel momento posso affacciarmi sulla scena del mondo e illuminarlo della mia luce. Tutti i cerimoniali dei potentati terreni non saranno che volgari imitazioni, e i loro “petit lever” e “grand lever” saranno, a confronto del mio, cose da ridere. Quei poveretti non sanno di che cosa sono capaci i miei maestri di cerimonie. Anche il famoso Re Sole, che più degli altri tenterà di rivaleggiare con me in fasto e magnificenza, sarà al mio confronto niente più che un pidocchio malato, e la sua corte, a paragone della mia, un'accozzaglia di pezzenti e di straccioni”.
“A che serve il cerimoniale?”, domanda Eva.
“Questa è una buona domanda”, risponde il Serpente. “Innanzitutto serve all'uomo di potere per sentirsi a suo agio. Vedi, donna, noi siamo una potenza, e le nostre cerimonie devono essere adeguate all'importanza del nostro rango. Solo nel regno del buon Vecchio che regna lassù non esistono cerimoniali, perché secondo Lui tutti sono uguali, e chi ha il potere non è superiore agli altri, perché esercitare il potere significa servire gli altri e non farsi servire. Nel nostro Regno, al contrario, il potere è uno strumento di dominio. E sarà così nel mondo di domani che sarà a somiglianza di questo nostro. L'uomo di potere deve perciò curare la propria immagine, e il cerimoniale fa risaltare la sua importanza. È il suo biglietto da visita, il suo “status symbol” sulla scena del mondo. Troni, baldacchini, portantine, diademi, corone, porpore, ermellini, scettri, servitori, fasto e magnificenza servono a far risaltare la sua grandezza e a definire in modo visibile il suo diritto a dominare. Senza quel rito l’uomo di potere sarebbe uno come gli altri. Solo il cerimoniale gli dà il senso della sua distinzione e lo aiuta a credere in se stesso. Perché dunque il “petit lever“ e il “grand lever”? Perché il buon esito di una giornata dipende da come uno si sente in forma fin dal mattino”.
“Allora”, conclude Eva, “anche la grandiosità di questo Palazzo ha un significato”.
“Un grande significato”, corregge il Serpente. “Quando il povero esce dalla sua stamberga e passa davanti ai palazzi del Potere, percepisce materialmente la distanza che separa la sua condizione dalla nostra. Perciò è necessario che i nostri palazzi siano sontuosi e l'uomo di potere sia circondato dal lusso e dallo splendore. Fasto e magnificenza sono i segni visibili del suo diritto a dominare. Per costruire i suoi palazzi e renderli fastosi, il Potere dovrà spremere il sangue dei poveri, ma forse che a noi importa qualcosa della povera gente? I nostri preferiti sono i ricchi, i potenti, i privilegiati. Con essi abbiamo stretto una salda amicizia. E finché durerà il nostro dominio sul mondo durerà anche la nostra e la loro festa. I poveri sono cari solo all’amabile Vecchio che regna lassù, il quale mostra di apprezzare per eccesso di buon cuore quei sentimenti sciocchi e dannosi che sono la bontà e la misericordia”.